I confini corporei e la definizione dell’identità
La società contemporanea tende a considerare sempre meno il corpo la nostra matrice identitaria bensì un accessorio della presenza, una costruzione personale, un altro sé, suscettibile di infinite metamorfosi. Tale investimento nel proprio corpo riflette l’assenza degli altri. La perdita degli antichi legami comunitari e delle proprie radici identitarie ha fatto venire meno un centro unificatore della complessità sociale e, per riflesso, della dimensione individuale. È un Io che non può includere il Noi, la cui caratteristica principale è la frammentazione.
L’Antiginnastica® è un’esperienza di contatto, di risanamento dei confini che, favorendo la possibilità di stare nella propria pelle, può attivare un processo di apprendimento e trasformazione permettendo il passaggio dall’indifferenziazione alla differenziazione, dall’Io al Noi, dalle singole parti al tutto, dalla frammentazione all’integrazione, essenziale per lo sviluppo dell’identità. (Maria DE COLA, 2012)
L’identità nella società contemporanea: un percorso accidentato
Da un’analisi della società contemporanea (Le Breton, 2007; Marzano, 2010; Galimberti, 1987) emerge la tendenza a non considerare più il corpo la nostra forma identitaria, ma un self-service d’identità: si può modellare, ringiovanire, cambiare sesso e forma, può diventare uno schermo su cui proiettare un’identità maneggiabile, deprivata dal senso e dal significato. Una nuova forma di dualismo oggi oppone l’individuo al suo corpo e non più, come un tempo, l’anima al corpo. Il corpo non è più “un’irriducibile incarnazione”, ma una costruzione personale, un oggetto transitorio e manipolabile, un “alter ego”, un altro sé, suscettibile di infinite metamorfosi, “argilla da modellare in funzione degli ambienti sociali” (Le Breton, 2007). Tutte queste trasformazioni traducono la necessità di perfezionare, con la propria iniziativa, un corpo che in sé sembra incapace di incarnare e colmare un sentimento di esistenza. L’identità si dissolve nel nascondere ogni interiorità; per molti contemporanei il corpo è ormai un accessorio della presenza, un teatro della messa in scena di sé, un mettersi fuori da sé per divenire sé. L’antropologo Le Breton parla di un’identità “nomade”, in cui ci si inventa per reggere lo stare al mondo senza significati simbolici. Il corpo, in virtù del fatto di essere al centro dell’azione individuale e collettiva, al cuore del simbolismo sociale, rappresenta un indicatore cruciale per una migliore comprensione del presente. Tale investimento nel proprio corpo riflette l’assenza degli altri (Le Breton, 2007). Il corpo è ciò che resta quando si sono perduti gli altri, essendosi lacerata una pelle comune che racchiudeva il mondo sociale all’interno di frontiere relativamente precise e coerenti e che offriva così al legame sociale un punto d’appoggio e riferimenti prevedibili. In un contesto di disorientamento del senso per la perdita degli antichi legami comunitari e delle proprie radici identitarie, l’individuo si chiude in sé e traccia da solo i suoi limiti, erige in maniera instabile e deliberata le proprie frontiere di identità, la trama di senso che orienta il suo cammino e gli permette di riconoscersi come soggetto. Non è più rintracciabile un centro unificatore della complessità sociale e, per riflesso, della dimensione individuale. Si va facendo strada un Io frammentato, ossia una soggettività priva di un unico centro unificatore e composta di una costellazione, più o meno ampia, di “Io sottoindividuali”, tutti relativamente autonomi, tutti fondamentalmente “lievi”. E’ la condizione che Erikson ha definito “diffusione dell’Io”: cambiare continuamente modelli di riferimento e “recitare” freneticamente stili di vita diversi, sulla base dell’estro del momento e in mancanza di un nucleo stabile della personalità. E’ un Io che non può includere il Noi, un “Io lieve” (Dogana, 2002) caratterizzato da inautenticità, narcisismo e frammentazione, che gioca con la propria immagine indossando maschere e rischiando la frammentazione dell’identità.
Un compito urgente, psicologico e sociale, così come già suggerito da Anzieu (1990), è allora la ricostruzione di limiti e frontiere che istituiscono differenze e insieme permettono lo scambio tra le aree della psiche, del sapere, della società, dell’umanità così delimitate. Il confine, infatti, distingue e, nello stesso tempo, accomuna consentendo l’unità.Il corpo, luogo di identità. La necessità di stabilire i confini
L’identità è definita dalla possibilità di stabilire dei confini.
Pertanto, dato che il corpo è il luogo identitario in cui si ritrovano tutti gli aspetti dello sviluppo dell’apparato psichico, definirne i confini costituisce un aspetto essenziale. A partire da Freud che riteneva che il primo Io fosse un Io corporeo, altri autori (Anzieu, 1985; Bick, 1968; Gaddini, 1980; Winnicott, 1962) evidenziano la funzione fondamentale della pelle come limite nella costituzione dell’Io psichico. L’Io-pelle (Anzieu, 1985) è il contenitore somato-psichico di quanto il bambino ha sperimentato nel contatto con la madre. Perciò ogni storia personale è anzitutto una “storia di pelle”. La pelle della madre è il filtro semantico e sensoriale del rapporto con il mondo (Le Breton, 2007).
Problematicità di questa “prima pelle”: può portare alla formazione di un autocontenimento di tipo muscolare (Bick, 1968) o corazza caratteriale (Reich, 1933) che ha il suo corrispondente corporeo in una corazza neuromuscolare. Viene ostacolata in tal modo la strutturazione di “sani” confini. Ciò non consente la differenziazione e rende problematico il processo di “individuazione del Sé” (Jung, 1928) (o processo di “separazione-individuazione” secondo M. Mahler): si resta dunque, nella frammentazione. Jung ci aiuta a comprendere come questo sia un aspetto dell’individualismo. L’individuazione è invece il processo di differenziazione in cui il particolare si sviluppa e si separa dal generale in base ad operazioni complementari di differenziazione e di integrazione che consentono alla personalità di costituirsi in un tutto unitario e organico (Jung,1928). È la differenziazione dell’Io che permette di accedere alla dimensione del rapporto in quanto gli altri non vengono più visti unicamente come i contenitori delle proprie parti scisse e proiettate, avendo cioè realizzato il passaggio dall’identificazione proiettiva a quella introiettiva. E’ dunque, un Io che può aprirsi alla dimensione del Noi, che, cosciente della relazione tra le parti e tra le parti e il tutto, sente la propria essenza inserita in un contesto collettivo e può riconoscere le proprie radici collegate a un “humus comune” (Jung, 1928), a una “trama comune” (Le Breton, 2007), a una “pelle comune” (Anzieu, 1990). Perciò, come ci fa notare Jung, mentre l’individualismo è isolamento e ritiro dal mondo (aspetti della corazza), l’individuazione è invece il presupposto per una maggiore coesione sociale (Jung, 1921), in cui ogni apporto personale è una differenza propizia alle complementarità necessarie alla vita collettiva, “un tono singolare nell’armonia plurale del gruppo” (Le Breton, 2007). Così come l’Io è formato da un insieme di parti differenti che, integrandosi, formano un tutto unitario, così tra l’individuo, il mondo e gli altri, una medesima trama viene tessendosi, con motivi e colori diversi, ma che non vanno a modificare la trama comune. Stabilire i confini, dunque, è necessario per mettere in moto il processo di differenziazione grazie a cui si realizza l’integrazione.
Saperi diversi (Bertherat, 1976, 1985, 1990; Le Doux, 2003; Bion, 1962; Anzieu, 1985; Jung, 1928; Mahler, 1978; Feldenkrais, 1949) mostrano che nel corpo vi è la possibilità di differenziare e integrare, superando quindi la frammentazione. Il principio di differenziazione è fornito dal corpo, che è anche il luogo essenziale per l’integrazione. Differenziare le parti del corpo, la sensibilità, differenziare sensazioni, emozioni, pensieri e sentimenti tra loro e al loro interno, costituisce il processo di apprendimento.
L’ Antiginnastica®: Un’esperienza di contatto, di risanamento dei confini
Il superamento del dualismo, che questo lavoro rende possibile, è anche nel riportare sul corpo un’attenzione di carattere epistemologico, facendo sì che divenga, allo stesso tempo, soggetto e oggetto della conoscenza (nuovo paradigma).
Dal momento che il corpo, nell’attuale società, è il luogo già designato per una trasformazione di sé (nel senso però di alienazione), allora è possibile utilizzare questo aspetto per favorire nelle persone il contatto con sé, la possibilità di stare nella propria pelle, di abitare il corpo, di definire i propri confini, consentendo loro di vivere l’integrazione, non l’alienazione. Tale metodo può essere uno strumento eccezionale per far fare alle persone l’esperienza dell’integrazione, senza la quale non ci sarebbe conquista dell’identità. Scoprire la profondità della pelle (“Ce qu’il y a de plus profond, c’est la peau”, Paul Valery) e la sua capacità di ospitare ogni significato più recondito è la via al risanamento dei confini che è in fondo la capacità di prendersi cura di se stessi.
A livello sociale ciò può tradursi nella possibilità di abbandonare i comportamenti di chiusura, isolamento, i rapporti fondati sulla difesa e quindi sulla scarsa responsabilità sociale, permettendo una “convivenza responsabile” (Procentese, 2011) basata sullo sviluppo di progetti comuni.
Poiché non vi è nulla nella mente che non sia passato attraverso i sensi e la motricità (Anzieu, 1994) – la mente si costruisce sulla propria esperienza del corpo – allora è la possibilità di apprendere dall’esperienza che può consentire il cambiamento, inteso come “evoluzione trasformativa” (Lucato, 2010), favorendo cioè una nuova organizzazione neuromuscolare e psichica. Le informazioni sensoriali che ci danno i movimenti possono essere l’inizio di tale cambiamento. Tramite il senso cinestetico è possibile creare collegamenti tra conscio e inconscio, tra psiche e corpo. Infatti, i suoi recettori, che sono sensibili sia agli stimoli interni che esterni e vengono stimolati dal movimento, si trovano in un rapporto di interazione con le immagini psichiche (Adorisio, 1995). La possibilità di condividere con il gruppo le proprie sensazioni, derivanti dal lavoro corporeo, può stimolare questi collegamenti (ossia collegare alle sensazioni immagini ed emozioni).
L’Antiginnastica® può attivare un processo permanente di apprendimento e trasformazione consentendo il passaggio dall’indiscriminazione alla discriminazione, dall’indifferenziazione alla differenziazione, dall’Io al Noi, dalle singole parti al tutto, dalla frammentazione all’integrazione. E’ ciò che Bion (1962) chiama “oscillazione Ps – D” (oscillazione tra caos e ordine) e dunque sviluppo della capacità di pensare, amare, ascoltare, condividere, etc.
Questo lavoro può dunque favorire, promuovere, far imparare processi di integrazione delle parti tra di loro e delle diverse componenti del soggetto (emotiva, cognitiva, corporea…). Prendere contatto con le parti di sé inascoltate, “non nate”, differenziarle, consente di stabilire un dialogo tra le differenti parti di sé, e dunque di integrarle nell’unità psicosomatica. Poiché “prendere coscienza del proprio corpo è accedere a tutto il proprio essere…” (Bertherat, 1976).
La differenziazione è separazione di parti da un tutto omogeneo, per cui ciascuna parte può articolare le proprie differenze rispetto al tutto e alle altre parti. È possibile evidenziare un’analogia corpo/gruppo, nel senso di un’interdipendenza delle parti:
così come una parte del corpo si riappropria del suo significato e della sua funzione nel momento in cui si integra all’insieme, allo stesso modo la parte di sé depositata negli altri ritorna a colui o colei che progressivamente prende coscienza dei legami che può fare tra la propria storia personale e la storia del gruppo.
“Il processo gruppale parte quindi dall’io, passa per il noi, per riapprodare poi all’io.” (Bauleo, 2000). E ancora: “Grazie al gruppo, il soggetto si riappropria di una parte di se stesso e della propria storia, perché, suo malgrado, è lui stesso gruppo” (Vacheret, 2005). Il gruppo, come il corpo, è un tutto e dunque ha la stessa funzione. Lo spazio condiviso – corporeo, gruppale – diventa il modo di scoprire la propria identità attraverso similitudini e differenze.
Maria de Cola (2012)
Bibliografia
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